16 settembre 2007

"Re Inchiostro...."



Ci sono degli scrittori che, una volta letti, ti pesano addosso come un senso di colpa. Le loro frasi sono così sublimi e irragiungibili da zittirti la penna, ma allo stesso tempo alimentano in modo incontrollato la passione che senti per la scrittura. A partire da quel momento, non sei più solo con l'inchiostro davanti alla carta ma ci siete tu, lui, e quello scrittore che, bello dei suoi versi, ti sfida e seduce costantemente. Diventa la tua coscienza gemella, quella che ti sussurra il fallimento tutte le volte che ti concedi una vita lontana da quel tuo scrivere che senti troppo debole, capace solo di consumarti e biasimarti. Ogni volta che crei qualcosa con le tue parole, senti quasi di offrirla inconsciamente a lui oltre che a te stesso. E ogni volta, speri che l'amore per ciò che scrivi si avvicini a quello che riservi ai suoi fogli . Il senso di colpa in cui mi sono meravigliosamente persa si chiama Nick Cave, e quello che leggerete di seguito è uno stralcio del suo romanzo: "E l'asina vide l'angelo"

"Beth sembrava addormentata. Mi congratulai con me stesso per quel colpo di fortuna, mentre salivo i quattro gradini di pietra e aggiravo l'enorme angelo di marmo. Strisciai di fianco alla statua finché non giunsi alle spalle della piccola, proprio su di lei. Sollevai il falcetto nell'aria, stringendo forte l'impugnatura. In quell'istante Beth si svegliò e si voltò. Fissò i suoi occhi nei miei, poi disse "Finalmente sei arrivato Gesù". Non so spiegarlo ma quelle parole fecero scattare un grilletto dentro di me. Il mio cuore si incendiò. Un tumultuoso flusso di sangue mi salì al cervello, iniziai a vorticare su me stesso, la mente mi si annebbiò e il naso cominciò a sanguinare. Sentii l'odore del sangue, il suo gusto. Sentii le mie ferite apririsi poco a poco. Sentii i cantori infuriorare, mentre i nervi della mano - quella che impugnava il falcetto - si tesero. Cominciai a tremare e a vacillare, inciampai, poi ripresi l'equilibrio per un attimo e infilzai la piccola con il falcetto.

Avevo lasciato gli stivali sul cadavere stritolato e mangiucchiato di un' allodola, perciò li ritrovai brulicanti di una folta schiera di formiche rosse. Li abbandonai sotto la siepe e mi diressi a nord lungo Main Road, con ai piedi nient'altro che la polvere raccolta per strada.
Su Doghead regnava il silenzio. Sembrava che tutti avessero perso la parola. Avevo dimostrato l'efficacia dell'agire in prima persona e di colpo le parole sembravano superflue - chiacchiere oziose, una pura perdita di tempo. Il mio regno era diventata un'arena terribilmente quieta, è vero, ma in realtà era tutt'altro che addormentato. L'attesa riempiva l'aria di un senso di ansia muta, come se tutti aspettassero con il fiato sospeso. Attraversando il cortile riuscii a sentire, quasi a gustare, l'elettricità. Le trappole tremavano cariche di energia. ogni cosa intorno a me attendeva di essere liberata. Forconi, lance, trappole, denti di sega, reti, tutto sembrava pronto a scattare, infilzare, precipitare, ferire, graffiare, colpire. Controllai le trappole velocemente, poi salii sulla torretta. Posizionai il canocchiale. L'aria era calda e immobile. I campi avevano cessato di bruciare e il fumo era ormai lontano dalla valle. Ma ora il cielo appariva sporco e il ventre delle nuvole scolorito. Pungenti miasmi salirono dalla botola. Dovetti tapparmi il naso per non soffocare. Respirai con la bocca, nauseato. Mi chiesi come le bestie potessero sopportare di vivere così, come un branco di porci. Puntai il canocchiale sulla sala del municipio. la gente era ancora occupata nei festeggiamenti. Calcolai che non sarebbe passato molto tempo prima che le grandi porte di legno di quercia si aprissero e il nemico scendesse piano i gradini, diretto a Memorial Square.

Girai il cannocchiale verso il parco, mettendo a fuoco la bianca sagoma del monumento. Inquadrai con precisione la struttura di pietra, osservando prima l'intera scena e spostandomi poi sui dettagli. In un momento di chiarezza, mi colpì l'effetto della nuova aggiunta a quel quadro. Vidi l'angelo e la bimba, uniti intimamente, come se l'uno dipendesse dall'altra, legati come il bene e il male, il paradiso e l'inferno e, appunto, la vita e la morte. Ciascuno illuminava l'altro in virtù di quel contrasto. Consideravo quell'idea e osservavo il monumento - l'incarnazione stessa di quel concetto - la pietra e la carne - ciò che era eretto e ciò che giaceva a terra - la falce alzata e quella abbassata - le polle d'ombra e quelle di sangue - la figura mandata dal cielo e quella destinata agli inferi - la solidità della pietra e la caducità della carne - la potenza duratura e la fragilità, e , sapete - non so come dirvelo - ma quel pensiero, quell'idea, allora mi sembrò una cosa fottutamente chiara, perfetta. la prova vivente della bellezza che avevo di fronte mi fece avvampare il volto. inorgoglito dovetti mordermi il labbro e trattenere le lacrime, mentre ripetevo a me stesso: "Coraggio, Euchrid. Non è il momento di lasciarsi andare. Non devi assolutamente piangere. Non devi...". Dapprima singhiozzai, poi ebbi un attacco di pianto sfrenato. pensai che il cuore mi sarebbe esploso, tanto era stramaledettamente colmo di - non era tristezza - oh, no, no davvero - quelle lacrime furiose erano lacrime di - di - orgoglio. Si. Orgoglio. e sapete, in cuor mio sono convinto che questo sentimento appartenga unicamente a coloro che sono destinati alla Grandezza; a quelli che ricercano la grandezza a ogni costo, dovessero inseguirla fino alla tomba. Quel giorno avevo dato prova della mia onesta esistenza, al di là delle grette volontà degli uomini comuni. Piansi lacrime di orgoglio, lacrime di grandezza, fiumi di sale e gloria."





WhiteRabbit


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