20 gennaio 2008

"Noi Possiamo tutto!!!"


Ieri David Remnick ha detto: "Un direttore non è che un topino che si addestra a fare il ratto". Chi è David Remnick? E' uno che da nove anni squittisce tra i fogli bianchi e neri del New Yorker, una testata da 10 milioni di dollari. Un Signor Ratto direi, che finora ha nascosto nella tana un premio pulitzer, cinque libri e anni di corrispondenza da Mosca per il Washington Post. Alle 21.00, era nella sala teatro dell'Auditorium di Roma. Completo grigio, faccia vispa di uno che si prende sul serio, e la nostra lezione di giornalismo su qualche foglio volante. Una lezione solleticata dall'ironia, bizzara, ma soprattutto brillante nel raccontare quasi un secolo di giornale. Il suo è stato il secondo intervento del ciclo di incontri mensili organizzato dall' "Internazionale", di Giovanni De Mauro. Una spinta a capire, con le grandi penne del mondo, quanto è ammalato il giornalismo e quale può essere l'inchiostro curativo da somministrargli.

Il NY è nato nel 1925, e ha vissuto i primi anni della sua vita come un funambolo, muovendo i primi passi su un filo di vendite rosicchiato. Qualcuno lo definiva il fiasco più notevole del ventesimo secolo. Quando Harold Ross, fondatore e direttore del giornale, chiese a Dhoroty Parker perché non avesse scritto il suo pezzo, lei rispose che "qualcun'altro stava già usando la matita". Pure, quel settimanale aveva troppa voglia di stare al mondo, e ci è rimasto, ospitando poesie, vignette satiriche, e reportage lunghissimi di luoghi che non chiacchieravano mai con nessuno. Ogni tanto sembrava il monello del giornalismo, capace di annunciare l'attaco a Pearl Harbour insieme agli aggiornamenti su una partita di FootBall. In realtà, le sue pagine dovevano ancora imparare a gestire la seconda guerra mondiale. Il secondo direttore, W. Shon, pensava che più gli articoli venivano tagliati, più ci si avvicinava al regno dei cieli. Odiava gli avverbi. Da quando dirigeva il giornale, in redazione girava un promemoria delle parole che non si potevano usare nei pezzi. Alle sue trentuno regole di stesura le macchine da scrivere sudavano. Fu allora che Norman Miler dichiarò: "La mia libertà di parola è poter dire -vaffanculo- sul New Yorker". Intanto, sui fogli del monello andavano a giocare grandi scrittori come Nobokov, Roth, Salinger e Capote, lasciandovi racconti brevi. Di più, leggere il NY era come sentir parlare una signora acuta e sofisticata della vita cosmopolita e mondana della città. Esso, infatti, è tuttora celebre per il modo, fedele e ricercato, con cui è riuscito a restituire l'aspetto della cultura contemporanea americana, i suoi vizi e le sue virtù. Durante l'ultimo decennio, Remnick è stato bene attento a scegliere le vignette come un bambino di dodici anni e il settimanale, nonostante la sfida di internet, è rimasto uno dei più piacevoli ingombri sotto il braccio degli americani. Mi scuso, sotto più di un milione di braccia, che ogni anno stringono quelle pagine senza foto, in cui si è resi consapevoli del sistema pensionistico e del riscaldamento globale.
Così è passato quasi un secolo, e il New Yorker è diventato grande, stando bene attento a non crescere mai del tutto.

A questo punto vi starete chiedendo cosa ci azzecchi quel titolo con il post che ho scritto... Ebbene, il vostro Bianconiglio e un suo amico, ieri sera, avevano un appuntamento alle 19.30, due penne, e due taccuini eccitati per questa loro serata da finti, ma appassionatissimi inviati.
Ahimè, giunti all'Auditorium, ci è stato detto che i biglietti erano ormai esauriti da giorni. Per entrare abbiamo raccontato una balla sufficientemente imbarazzante: avevamo acquistato i biglietti in prevendita, ora li avevamo dimenticati a casa, e volevamo sapere se qualcuno aveva una soluzione per farci entrare. Questa storiella ha tirato un sospiro e ha scansato la vergogna per almeno cinque volte, e per cinque volte le hanno risposto spallucce. Intanto mancava poco alle 21,00. Il rumore dei tacchi nel corridoio si stava smorzando, e noi ci stavamo flagellando per la nostra occasione perduta. A quel punto siamo tornati dal ragazzo addetto alla sorveglianza, per chiedergli, senza filtri, di lasciarci introfulare. Sorprendentemente, prima che potessimo farfugliare parola, ci ha detto che aveva qualcosa per noi...
E' stato così che abbiamo seguito la nostra prima lezione di giornalismo,
nonostante la burocrazia ci avesse sgridati, e sembrasse decisa a non perdonare la nostra leggerezza, per non aver comprato prima i biglietti. E' stato così che, alla fine, io e il mio amico ci siamo chiesti dove saremmo stati noi a 49 anni, se saremmo diventati dei ratti o qualcos'altro. Poi, riflettendo su come eravamo riusciti a giocare agli inviati quella sera, ci siamo detti: "beh, non sappiamo come andrà a finire, ma, almeno per adesso... Noi Possiamo Tutto!!!"





WhiteRabbit

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