Il 16 luglio scorso, settanta economisti hanno pubblicato un appello sul "Manifesto" titolato "L' altra ricetta possibile sul debito pubblico", su inziativa di Emiliano Brancaccio, professore alla Facoltà di Scienze Economiche e Aziendali del Sannio, e Riccardo Realfonso, docente ordinario di Scienza delle Finanze presso l'Universita' di Milano - Bicocca. L'appello si inserisce in un acceso dibattito accademico sulla politica macroeconomica, e vede duellare, a colpi di numeri e percentuali, i sostenitori della stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e Pil, di cui fanno appunto parte Realfonso e Brancaccio, contro gli studiosi pro abbattimento del debito. In questo caso troviamo esponenti della Bocconi, della voce.info e del sito prodiano Governare Per, i quali possono contare sull'appoggio di auterovoli editorialisti italiani, nonché sui promotori di un appello pubblicato dal Sole 24 Ore un anno fa, e favorevole al rigore finanziario.L'idea della stabilizzazione era stata lanciata da Luigi Pasinetti, autore di “The mith (or folly) of the 3% deficit/GDP Maastricht parameter”, articolo datato 1998 e pubblicato sul Cambridge Journal of Economist. Il pezzo è stato riesumato da Brancaccio e Realfonso, che hanno voluto dargli un seguito con "Il debito pubblico non va rispettato", pubblicato su Liberazione nel 2004. I due economisti, e gli studiosi al loro seguito, sottolineano come il punto cruciale della questione, sia che tra i due obiettivi vi è uno scarto di dieci miliardi che, nel caso della stabilizzazione, potrebbero essere investiti sul Welfare. La cosa più interessante, è che sul sito ufficiale "www.appellodeglieconomisti.com", dal quale si può aderire all'appello, si può leggere, oltre a questo, una documentazione volta a smontare quelle teorie che hanno fatto della stessa politica italiana un'adepta dell'abbattimento. Questo, è bene ricordarlo, punta su una strozzatura della spesa pubblica senza escludere un aumento delle tasse, per investire sulla stabilità del domani. Essa è subordinata alla riduzione del debito al 60%, secondo i paramentri di Maastricht, e all'estinzione della spesa per interessi, che permeterebbero di lanciarsi sulla spesa pubblica primaria o sulla riduzione del prelievo fiscale. Proprio quello sui parametri di Maastricht è uno dei punti più interessanti toccati dalla teoria della stabilizzazione. Secondo quanto scritto da Brancaccio infatti :
" Si scopre che nessun concetto formalmente ammissibile di sostenibilità delle finanze pubbliche consente di privilegiare l’abbattimento del debito alla sua mera stabilizzazione. Le combinazioni del deficit e del debito che possono esser definite sostenibili risultano infinite. Chiaramente non sono mancati i tentativi di legittimazione scientifica delle sole combinazioni situate al di sotto dei limiti del 3% e del 60% sanciti a Maastricht. Questi esperimenti tuttavia si sono sempre basati su ingiustificate ipotesi ad hoc sui divari tra risparmi e investimenti, o addirittura su improbabili esplicitazioni utilitaristiche delle funzioni obiettivo degli agenti economici." inoltre "il Trattato dell’Unione prevede sanzioni in caso di superamento del limite del deficit annuo al 3% del Pil, mentre nulla è direttamente stabilito riguardo alla violazione del vincolo del debito al 60%"
Per ora il duello è ancora in corso, e gli economisti della stabilizzazione, oltre ai parametri europei, hanno rivolto le loro riflessioni demistificatrici alla presunta convenienza dell'abbattimento per la generazioni presenti e future, nonché alla necessità di più "mercato e meno stato". Il valore più profondo di questo appello però, non sta nel suo esito, ma nel fatto che rappresenta un'alterativa reale, diversa, in un momento in cui l'economia non sembra capace di ripensarsi. Essa ricicla se stessa, e lo fa con una testardaggine e una costanza tale da avviare un processo inconscio di assuefazione, per cui si comincia a pensare che il mutamento fittizzio sia l'unico effettivamente possibile. Un'inziativa del genere quindi, condivisa o meno che sia, è un atto di credo importante, poiché è sintomo di una fede nel cambiamento ingiustamente smarrita.
30 settembre 2007
"Debito pubblico: duello tra stabilizzazione e abbattimento"
Pubblicato da WhiteRabbit alle 18:23
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