Prendete una chitarra, smontate le corde, mettete nel rosone della cassa di risonanza due o tre manciate di fili di fieno, rubate qualche ruga al tronco di un albero e lo sguardo di una gazza ladra che saccheggia in ogni dove cose di valore. Poi, andate in un campo di grano, trovate uno spaventapasseri e portategli via la camicia sformata e i pantaloni di sacco. Strappate qualche brandello e aggiungete anche questo al resto. Infine, racchiudete in un vasetto la voce di un poeta, le grida feline di una gatta che rizza il pelo, le urla di una protesta e il suono della predica di un profeta che cerca di radunare il suo popolo dall'alto di un monte. Mescolate tutto e versate lentamente il contenuto del barattolo nel buco della chitarra, cosicché possa amalgamarsi al resto degli ingredienti. Ora riprendete le corde, legatele di nuovo allo strumento e accordatele con cura. Subito dopo carezzatele, una volta con dolcezza e una volta con rabbia, sussurrando: "People have the power". Allora dal rosone dovrebbe cominciare a salire su del fumo che profuma di anni '70 e la figura di Patti Smith dovrebbe materializzarsi accanto a voi per raccontarvi la sua storia.
Questa comincia in una fabbrica di “piscio”, in mezzo agli ingranaggi di una catena di montaggio dove ad ogni atto di alienazione riciclato nell'insofferenza, Patti rispondeva con un'imprecazione che ringhiava nel suo cervello sudato, in quel posto in cui non c'erano finestre e distrazioni, tranne un oblò che dava sul convento della dolce Teresa nei pressi del quale cantavano delle suore, che al confronto dell'allora sedicenne Smith sembravano avere una vita bella, quasi trasgressiva. L'unico che poteva capirla là dentro era un tipetto con la faccia pulita, uno che a suo tempo distribuiva ghigni amari a una società smerlettata e che ha finito col diventare il Sacrilego del verso: Arthur Rimbaud. Le sue "Illuminazioni" erano nascoste nella camicia di Patti, vicino al suo piccolo seno, dopo che ne aveva rubata una copia in un negozietto alla stazione degli autobus: un furto che sarebbe stato come il primo bacio ad un amante che la trattiene con forza e passione ancora oggi, che è sangue del suo sangue, che è un Principe della bettola di cui leggere e rileggere codici di fango. Poi, nel '69, l'arrivo nel più grande bordello del mondo, dove l'arte si porta a letto la società del consumo, un po’ facendoci l'amore un po’ tradendola saccheggiando le sue immagini, dove tribù colorate di gente allucinata, dai capelli lunghi e arruffati, alzava il dito medio contro i grattacieli del potere, che rispondevano con la sufficienza della luce riflessa sui loro vetri a specchio. Qui la lussuria aveva trovato il suo hotel a cinque stelle e ogni poesia era figlia di un boccale di birra scolato, di un acido in gola e dello spazio tra una sbarra e l'altra di un carcere, mentre la musica ridondava maleducata e visionaria. Fu Qui, a New York, che Patti si trasferì al Chelsea Hotel con Robert Mapplethorte coltivando una relazione con l'obiettivo del fotografo, di cui diversi scatti sarebbero stati usati per le copertine di cd come Horses e Wave.
Soprattutto fu allora che la scrittura divenne un cavallo sbrigliato impossibile da domare, cosa che fu chiara davanti alle tele su cui Patti avrebbe dovuto stendere colore per diventare un'artista e sulle quali non riusciva a far altro che scrivere frasi che si sparpagliavano disordinate sul foglio. Da quel momento l'inchiostro dei suoi versi è come un vagabondo, che con un fagotto sulla spalla ha messo via le esperienze di tanti viaggi per poi rovesciarle sulla carta. In quasi quarant'anni di poesie e canzoni si è perso tra le tombe di Pere Lachaise per incontrare Morrison, ha fatto tappa da Blake che cercava di parlare con gli apostoli dell'Antico Testamento, senza scordare di far visita a Burroughs e all'eroe del suo romanzo, Johnny. Quel girovago di china ha messo via l'odore delle trincee, il frastuono delle bombe che esplodono e la fuga del Dalai Lama nel '59. Durante il cammino ha ascoltato Hendrix e Cobain e ad ogni luogo, incontro, il suo fagotto si riempiva. Ha seguito i passi di Cristo fino alla croce, urlandogli che stava morendo per i peccati di qualcuno ma non per i suoi, e con le parole ha tessuto un sudario per la morte dandole un volto. Quell'inchiostro errante ha rubato il profumo delle lenzuola che celavano il rapporto a tre fra Patti, Lanier e Verlaine, è colato su seni e toraci, è andato in estasi per una donna vestita di rosso poggiata su un parchimentro e si è drogato fino a danzare preda delle allucinazioni. Leggendo le pagine che Patti ha scritto si può viaggiare con lui in mondi nei quali veniamo introdotti attraverso immagini che si allacciano l'una all'altra come stralci di sogni diversi, che disorientano la ragione e fanno diventare la lettura un valzer che la mente balla ora con una visione, ora con un'altra.
Oggi la Messaggera della Strada sta sul palco con un magliettone bianco su cui spicca il simbolo della pace tracciato alla buona con un pennarello e con pantaloni che avvolgono le sue gambe esili come cartine attorno al tabacco. Quando comincia a cantare tramuta il Rock in tante esperienze diverse in due ore di concerto. All'inizio sembra di partecipare ad un rito tribale per il quale la musica segue spartiti di estasi, perché Patti possa trasformare le sue parole nell'evocazione di uno sciamano che penetra la mente come fumo aromatizzato, che ti arriva sulla pelle come terra umida. Subito dopo la sua voce, i suoi racconti, le poesie che recita ti portano altrove come il BianConiglio narrando di balene che nuotano in cielo, mentre le note diventano il cuscino ovattato sul quale ci si abbandona più lietamente all'illusione di ogni verso. Tutto finché il suono e la voce decidono di allargare il nodo della cravatta perché è giunto il momento di abbandonare le buone maniere e di lasciare che la musica perda il controllo graffiando le orecchie, mettendo in disordine il corpo, facendo di una vibrazione un gemito, fino a diventare un manifesto su cui le urla stridenti di Patti scrivono un credo che ha compiuto 61 anni e che fin dalla nascita è stato sfamato dalla rivoluzione culturale. Una religione che lei canta come un oracolo venuto ad annunciare che quello in cui siamo è l'ultimo giorno del Rock. Una fede che è opera d'arte e che ci viene raccontata da quasi mezzo secolo da una pipa di visioni che si chiama Patti Smith.
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