Da qualche mese a questa parte, facendo zapping tra un canale e l'altro della televisione e leccando il dito mentre si sfoglia il giornale, si ha come l'impressione di assistere alla cronaca di uno di quei film hollywoodiani nei quali questo o quel governo si prepara a superare questa o quella apocalisse, vuoi per un'onda anomala pronta ad ingoiare ogni cosa, vuoi per un virus capace di paralizzare l'umanità intera. Stavolta pare che ci toccherà la pellicola sulla "crisi energetica" e, tanto per cambiare, sullo schermo ci sono le solite vecchie facce a prendersi la parte del protagonista, anzi dei protagonisti che, neppure a dirlo, sono gli Stati Uniti e la Russia, con la partecipazione del continente euroasiatico e dell'Europa.
Come in molti film del genere, tutto comincia con un periodo di equilibrio che fu celebrato nel 1987 dal trattato Inf, firmato da Gorbacev e Reagan come rinuncia di ambo le parti ai missili nucleari di gittata corta e media. Il trattato sembrava aprire una stagione di strette di mano all'insegna del disarmo che parve continuare anche dopo la caduta del muro. Nel 1990 infatti, i paesi della Nato e del Patto di Varsavia approvarono il trattato Cfe per ridurre gli armamenti convenzionali in Europa. Proprio il 15 luglio scorso però, Putin si è tirato fuori dall'accordo, terreno di numerose diatribe a partire dalla fine dell'Urss e fino alla ratifica definitva della Russia nel 2004, dopo l'adesione di Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan. Clinton infatti, si rifiutava di sottoscrivere il documento finché non fosse diminuita la presenza militare russa nel Caucaso e in Cecenia, mentre Mosca premeva per la partecipazione delle repubbliche baltiche.
Adesso l'uscita di Putin è stata il gong per tornare sul ring, questa volta perché gli Usa si sono spinti troppo in là nel loro cammino all'insegna dell'unipolarismo, e il presidente russo non è certo tipo da lasciare che il protagonismo del suo stato venga minato. Il gancio di troppo è arrivato dritto dritto in faccia al Cremlino quando ha cominciato a farsi avanti l'ipotesi di qualche cruise o pershing sulla testa, con la costruzione in Polonia di uno scudo antimissile e l'installazione nella Rep. Ceca di un radar. Tutto, secondo quanto dichiarato da Bush & co, per difendersi da missili che potrebbero attaccare da Iran e Corea del Nord che, in teoria, non dispongono di questa tecnologia. Tutto facendo i conti senza l'oste, ovvero all'insaputa della Nato e di Bruxelles che ora si ritrova in Europa un focolaio di diffidenza tra coinquilini dell'Unione.
Per cercare di capire che cosa sta accadendo, può farci comodo fare un salto indietro e raccogliere le briciole che la politica internazionale si è lasciata alle spalle a partire dal '91, ovvero dalla dissoluzione dell'Unione sovietica. Questa segnò la nascita di otto stati indipendenti nel continente euroasiatico che sono diventati le fish del gioco delle grandi potenze. Una volta "vinte" infatti, esse si trasformano in petrolio e gas nonché, in certa misura, in controllo territoriale. Con la prima mano del '93, l'americana Chevron è riuscita ad acquistare il 50% del giacimento di Tenguiz che, a ovest del kazakistan, è uno dei piů grandi al mondo, mentre la Russia, gelosa del Caspio, si giocava un asso accordandosi segretamente con il presidente azero Aliev. Allora Washington ha scoperto sul tavolo una serie di jolly, soprattutto a partire dal nuovo milennio. Primo tra tutti la realizzazione del BTC, l'oleodotto che mette in comunicazione Baku, Tbilisi e Cyhan e che, oltretutto, sembra una palla di vetro messa là a predire un disastro ecologico. Per le rivestiture delle tubature infatti, è stato utilizzato un prodotto incapace di aderire alle giunture dei tubi interrati o collegati sott'acqua, con un rischio che va dalle fughe di petrolio alla possibile esplosione dell'oleodotto. All'inzio del 2006 la situazione era la stessa.
Il gioco si è fatto ancora piů azzardato quando gli americani hanno potuto lavorare all'allargamento della loro sfera di influenza nell'area, servendosi delle rivoluzioni colorate in Georgia (2003), Ucraina (2004) e Kirghizistan(2005). In quest'ultimo caso poi, gli Stati Uniti possono contare sulla presenza della Nato, ammessa da Mosca anche in Uzbekistan grazie al lascia passare americano della guerra al terrorismo.
Proprio l'invasione dell'Iraq e il tentativo di ingoiare zone strategiche ad est, sembrano dati di un'equazione che, risolta, potrebbe rintracciare la sua incognita nel tentativo di recuperare le "riserve di petrolio a termine", come le chiama Laherrère. Quest'ultimo lavora accanto a Campbell che, fondatore dell'ASPO (associazione per lo studio del picco petrolifero), è giunto alla conclusione che il peack oil è stato toccato nel '65, con l'estrazione giornaliera di 66 miliardi di barili contro i 4 miliardi odierni. Il punto è che durante gli anni '60 la società del consumo succhiava piů o meno 6 miliardi di barili l'anno, mentre oggi immerge la cannuccia in piů di 30 miliardi. In tutto ciò, gli Stati Uniti hanno cercato di ingoiare un boccone che si chiama Arabia Saudita per circa quarant'anni. Infatti, nonostante già negli anni '70 fosse chiaro come le capacità di estrazione del paese fossero state gonfiate, la famiglia reale, le compagnie petrolifere e Washington, hanno pensato bene di crogiuolarsi sugli allori per evitare problemi. Tuttavia quel boccone era destinato a restare di traverso all'amministrazione Bush, non appena l'Aramco è stata costretta a comunicare che le risorse del paese erano al di sotto delle cifre ufficiali, e che le estrazioni dai pozzi mostravano segni di rallentamento inquietanti. Fu allora che l'invasione irachena divenne il digestivo adatto per risolvere il problema. Altro dato interessante è la diminuzione delle raffinerie negli Stati Uniti negli ultimi vent'anni. Secondo Éric Laurent, autore de " La verita nascosta sul petrolio", questo dipende dal fatto che il greggio diventa sempre piů raro e le compagnie petrolifere trovano maggior profitto nell'abbandonare la ricerca affidandosi alla speculazione dei prezzi. Questa avviene grazie alla fusione delle compagnie, che così possono vantare un apparente aumento delle riserve e far sì che le quotazioni in borsa giochino a loro favore. Dopo tutto nel 2000 sono stati trovati 13 giacimenti capaci di produrre oltre i 500 miliardi di barili al giorno, ma già nel 2001 il numero di ritrovamenti è sceso a 6 per calare ancora nel 2002, finché nel 2003 non è stato rinvenuto nessun giacimento. Inoltre, il greggio estratto in acqua profonda non equivale che a un consumo mondiale di tre mesi, delineando una situazione per cui il profitto non supera l'investimento.
In una condizione di simile precarietà, aggravata dal fatto che il 46% delle risorse dichiarate dallOpec sono dubbie, se non assolutamente false, viene da pensare che il progetto dello scudo antimissile non sia che un ulteriore passo per destabilizzare la presenza russa all'interno del continente euroasiatico, usando l'Europa come un'arma a doppio taglio. Sappiamo infatti che l'UE punta principalmente su questa zona per i rifornimenti di gas. Attraverso lo scudo gli Usa possono far sì che l'Occidente indebolisca sia la Russia che se stesso sotto la loro governance, rendendo piů semplice piegare al favore americano il gioco di concorrenza in Asia centrale e nel Caucaso. Qui infatti. gli stati indipendenti, a seconda delle circostanze, favoreggiano una potenza piuttosto che l'altra, voltando le spalle al momento opportuno. Forse, con questa trovata, Washington spera di tutelare ancora una volta il suo stile di vita che va a nozze con l'effetto serra che, a sua volta, è l'amante per eccellenza dei gruppi petrolieri, i quali sperano di sfruttare il riscaldamento globale per esplorare zone finora considerate off-shore. A questo punto, è lecito pensare a tutto ciò come a un'azione kamikaze che richiederebbe un retro- front per lavorare alla riconversione energetica. In tal caso però, pare sia venuto fuori come anche sistemi sostitutivi quali pannelli solari, idrogeno, nano tecnologia o centrali nucleari, siano basati su tecnologie informatiche sofisticate, di cui il petrolio resta comunque un componente fondamentale. Quindi, quale che sia il seguito del film: Signori, non vi auguriamo "Buona visione."
27 agosto 2007
Signori, non vi auguriamo << Buona Visione>>
Pubblicato da WhiteRabbit alle 13:09
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