27 febbraio 2008

"Dove la carta inizia a mugolare..."



Un pomeriggio di qualche giorno fa ho conosciuto il papà di Luisa ed Enrico Metz, Claudio Piersanti. Vive in una strada taciturna e il suo appartamento si trova all'ultimo piano di un palazzo, perché le orecchie possano stare ad almeno cinquanta metri dall'asfalto e i suoi rumori. Così lo sguardo può fare capolino dalla finestra e crogiuolarsi su una Roma che, verso le tre, sembra una muta che mima l'esistenza di una metropoli. Attorno a me un sofà che recita la parte di una distesa di fiori, con la sua fantasia stordita da petali arrossiti, pochi libri che sonnicchiano qua e là e due portatili spenti che si godono la ricreazione. La lunga finestra a muro indossa delle tendine blu cobalto e, correndo su tutta la parete, ricorda la finestra di un famoso film di Hitchcock, "Il nodo alla gola". Questa però non è la stanza di un delitto, ma una sala parto, una sala parto per libri. E' qui, infatti, che Piersanti feconda la sua penna e, poco a poco, può udire sulla carta i primi mugolii dei suoi personaggi. Forse, anche Luisa è nata qui, all'età di sessant'anni. Dentro una casa dove le cose, le voci, sembrano ordire malignamente contro di lei, mentre pian piano la sua testa sballotta tra ansia e abbandono di sè, e il panico approfitta della sua vita solitaria, insofferente. Probabilmente qui è nato anche Enrico Metz, un uomo con una vita incravattata dalla finanza e dalla politica, fino al ritorno nella casa di famiglia, dove l'esistenza gli narrerà la sua bellezza con timidi bisbigli. E' stato qui, in questa stanza, che Claudio Piersanti ha dato appuntamento a noi di "Bomba Tv", per raccontarci di questi due fratelli di inchiostro, e di come si sente a far da papà a tanti fogli di carta.

Già alla prima domanda abbiamo scoperto come i suoi libri, al loro ultimo punto, diventino degli orfani adottati dal mondo. Piersanti, infatti, non ne vuole sapere più nulla, non li rilegge mai, tanto che quando gli viene chiesto di una scala nel vuoto, immagine con cui si apre "Luisa e il silenzio", dice di non saper dare una risposta perché, semplicemente, non la ricorda. A sembrargli familiare è solo la presenza di una sveglia che trilla, facendo sobbalzare quelle prime righe. Il fatto, come ci spiega, è che delle sue opere preferisce avere uno "sfumato ricordo interiore", come di "persone lasciate alle spalle e che non potrà più rivedere". Ora che Luisa gli è ripiombata in casa con una domanda, circondata dalla sua realtà irrimediabilmente statica, Piersanti non ci nasconde un senso di inquietudine. A guardarlo, evoca quasi l'immagine di un padrone di casa impacciato, che fruga sulle labbra le parole adatte per accogliere la sua ospite inaspettata.

Mentre parla tiene il pugno stretto impresso sul divano, e la punta del suo piede rotea lentamente, come la pala di un'elica, che può scalciare con non chalance una domanda antipatica, facendola rotolare sotto il tavolino. Come tutti gli scrittori anche lui gioca un pò a nascondino con le sue storie e, solo dopo un pò, ci ha permesso di trovarlo e di fare tana tra le parole. All'inizio, infatti, ha raccontato di come scriva "per essere costantemente un altro", svelandoci che "Il ritorno a casa di Enrico Metz" è anche il ritorno che egli non può avere e che quindi ha inventato. Un errore, di "chi crede di di ritrovare le tracce della città che ha amato e invece trova solo delle mura". Piersanti ci ha detto di essere un apolide e di aver edificato sulla carta il luogo che non possiede, che trattiene un senso di nostalgia a lui completamente sconosciuto.

Eppure, con la penna, egli opera su quei personaggi una trasfusione della sua anima. Tanto Luisa che Enrico infatti, sono dei grandi frequentatori di se stessi,persone solitarie che si passeggiano per tempi interminabili perché, come ci dice lo scrittore,"è sbagliato sentirsi dentro qualcosa che non sia il proprio destino".E Piersanti è certamente uno che non si dà mai buca e da lui arriva sempre in anticipo, andandosene via solo a notte fonda, cosciente che "chi non riesce a frenquentarsi per cinque minuti è una persona infrequentabile". Ad interessarlo sono gli individui, le irripetibili solitudini con cui i suoi libri parlottano prendendo fiato solo quando la riga va a capo. Le stesse fiere dei libro, confessa con un sorriso, dopo un pò gli rimbombano nella testa, tanto che la sua fine è puntualmente quella del lettore a riposo. Le pagine dei suoi romanzi non sono mai tarocchi con cui la sua penna predice il destino di un personaggio. Essa infatti non ha mai fatto il gioco del futuro, si è sempre occupata del presente e del passato, perché sono i soli ad essere raccontabili. Tuttavia, prima di salutarci, Piersanti ci ha rivelato di avere tra le mani la storia di un uomo ossessionato dal suo avvenire, tanto che scendendo le scale avremmo dovuto stare in silenzio, perché forse, ascoltando bene, avremmo udito qualche mugolio venire da su, all'ultimo piano...





WhiteRabbit

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