07 ottobre 2007

"Mimi finché cabaret non li separi..."



La storia dei Dresden Dolls potrebbe essere quella di due mimi che, stufi di tacere, sono scappati dalla pellicola impolverata del loro film muto...
Forse, per truccare le loro facce bianche dalle labbra succose, gli bastano due schiocchi di dita: uno che faccia scendere una pioggerellina di zollette di zucchero ad imbellettare la loro pelle rosea, e un altro che faccia apparire piccoli lamponi a volteggiare sulle loro bocche. Lei indossa un vestito striminzito e calze rigate in bianco e nero con l'eleganza di un monello capriccioso, mentre lui le gira attorno con giacca e bombetta, nella parte del compagno di giochi perdutamente innamorato.
Da tre anni, il piano di lei e la batteria di lui, suonano per noi una favola chiassosa a due strumenti che si chiama "Punk- Cabaret".
Per raccontarvela dobbiamo anzitutto tirare la corda di un sipario, e aspettare che le sue tende di porpora si aprano sullo sfondo di un teatro, perché la musica di Amanda e Brian, con il suo suono epilettico e mielato, grottesco e caricaturale, raggiunge chi l' ascolta andando letteralmente in scena nelle orecchie e nell'immaginazione.

Tutto comincia a Boston, durante una festa - spettacolo per la notte di Halloween del 2000. Quella sera Amanda se ne stava convulsa e delirante a picchiare i tasti del suo piano, che urlavano le note spiegazzate delle sue melodie intricate, figlie di una tecnica mezza improvvissata, ma ebbra di passione. Brian allora era una sorta di batterista in incognita, costretto a suonare il basso con questa o quella band locale, invece del suo strumento. Quella notte vide Amanda, e capì che le sue bacchette non avrebbero potuto più fare a meno di quei tasti, premuti in modo così irresistibilmente disordinato. Lei gli parlò, e capì che le sue note bramavano i vezzeggiamenti e le percussioni delle bacchette di lui. Da allora sono passati sette anni, e il suono della batteria di Brian è diventato quello del tocco dell'uomo sulla donna, mentre il suono del piano di Amanda quello delle carezze della donna sull'uomo. Da quel giorno sono passati due cd, l'omonimo " The Dresden Dolls" e "Yes Virginia", i due letti su cui le loro note passano il tempo a fare l'amore, ansimando un genere musicale che si rifà al post -punk , stile Sparks e Butthole Surfers, e agli anni della bohème. Allora gli artisti volevano che la loro arte vagabondasse pazzamente in mezzo alla gente. Ogni opera si faceva accudire dalla strada e dai club clandestini, dove il jazz e il cabaret rendevano un pò più rumoroso un vicoletto qua e uno scantinato là. Nei caffé sventolavano ventagli di merletto e pipe di legno soffiavano fumo, mentre le case pavoneggiavano le loro porcellane e mura dalle fantasie barocche.
Così, ascoltando le canzoni dei Dresden Dolls, viene da pensare che il loro studio di registrazione non sia che una casetta delle bambole stile vittoriano, nascosta in una viuzza agli inizi del '900, dove rocchetti variopinti cuciono le righe dei pentagrammi.
I testi di Amanda poi, sembrano frutto di una patto tra una narratrice bambina e i suoi vecchi giocattoli. Le sue filastroche bislacche infatti, sono popolate da bimbe rosse, uomini arancioni e pupazzi a gettone che, in diretta dalla fantasia, ci raccontano il nostro mondo palpitante di sesso, dissonanze emotive, politica e revisionismo.
Il Punk - Cabaret di queste bambole di carne e sangue, non fa che sbuffare imbronciato se lo si lascia troppo tempo senza un pubblico, così Amanda e Brian lo hanno portato in giro per club, loft e gallerie d'arte. Lo hanno fatto scorrazzare sui palchi perché facesse da spalla a BecK, B52's e Jane Addiction, e partecipasse ai tour dei Legendary Pink Dots e degli Sleepytime Gorilla Museum.

Vedere Amanda e Brian dal vivo vuol dire essere vittime del sortilegio musicale di due Pierrot luciferini. Essi abbattono ferocemente mani e bacchette sui loro strumenti, che così slegano suoni nevrotici e maniacali, mentre i pizzi del corpetto di lei calano un pò come sfiniti e i capelli di lui lacrimano sudore. Allora il trucco sulle loro facce cola appena, sciogliendo un poco il loro mondo a parte. I loro sguardi si risucchiano l'un l'altro, e la musica proclama smaniosa la loro dolce e ossessiva schiavitù. La voce di Amanda impera su ogni pezzo virile e femminea allo stesso tempo, fino a diventare tenera e dispettosa quando la musica inzia a quietarsi. A quel punto le note si agganciano l'una all'altra come gli ingranaggi di un vecchio carillon a carica. Lasciano svolazzare melodie fragili e burlesche, che sembrano ricercare le farfalle di ballerine di ceramica in attesa di essere girate, o un'orchestra di animali di pezza che aspetta di essere risvegliata.
Tutto mentre la realtà non è più realtà, sbiadita da questo punk bizzarro che, tempo due ore di concerto, affitta il mondo ai pagliacci sbrigliati che si esibiscono nei sogni perduti degli uomini. Tutto mentre Brian e Amanda continuano ad acciuffarsi meravigliosamente le note, facendo della loro musica la fragorosa marcia nuziale che li unisce e confonde, da quando hanno giurato, nella cipria e nel rossetto, di essere mimi finché cabaret non li separi.





WhiteRabbit


Nessun commento: